E’ la più ampia tra le misure alternative alla detenzione, ed è regolato dall’art. 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354, “Norme sull’ordinamento penitenziario”.
Viene concesso dal Tribunale di sorveglianza e contempla la fuoriuscita dal (ovvero il non ingresso nel) circuito penitenziario: il condannato può così scontare la pena fuori dal carcere, nel rispetto di programmi e prescrizioni, “mettendo alla prova” il proprio reinserimento nella vita sociale con l’aiuto dell’apposito servizio sociale del Ministero della giustizia, chiamato Ufficio esecuzione penale esterna (Uepe).
-
Possono essere affidati in prova al servizio sociale i condannati la cui pena detentiva (o residuo di essa) non superi i tre anni; se vi è tata detenzione (anche in misura cautelare) è i limite è di 4 anni.
-
L’affidamento in prova può essere concesso se il comportamento del condannato e l’osservazione della sua personalità effettuata da operatori specializzati permettono di ritenere tale misura alternativa utile alla sua rieducazione e al suo reinserimento sociale.
-
Occorre inoltre che l’affidato abbia un domicilio (l’abitazione propria o di famiglia o di persone o comunità disposte a ospitarlo) e un lavoro (basta la dichiarazione di disponibilità da parte di un soggetto ad assumre il condannato se scarcerato).
L’affidato in prova potrà lavorare ma dovrà rispettare alcune prescrizioni riguardanti la dimora, la libertà di movimento (orari, tragitti), il divieto di frequentare certi tipi di persone e di locali. Sarà seguito e dovrà tenere regolari contatti con l’Uepe, che riferirà al magistrato di sorveglianza.
In caso di violazione delle prescrizioni, l’affidamento può essere revocato e il condannato completerà in carcere l’espiazione della pena.